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Storia dello Scavo - (Storia dello Scavo)
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La scoperta del teatro di Ercolano risale al 1710. Un contadino, tal Ambrogio Nocerino detto Enzechetta, nell'approfondire un pozzo per irrigare il proprio orto alle spalle della chiesetta di S. Giacomo a Resina, l'odierna Ercolano, scopri' alcuni marmi. Li osservo', e li compro' un artigiano marmista che passava li' per caso (ne realizzo' gli ornamenti di alcune cappelle a Napoli), e che lavorava al servizio del principe d'Elboeuf, nobile esule francese, comandante delle armate austriache a Napoli. Questi stava allora innalzando e decorando una splendida villa al Granatello di Portici, in riva al mare, che ancora oggi si puo' ammirare. Venuto il ritrovamento dei marmi all'interno del pozzo all'orecchio del principe, il d'Elboeuf fece scavare per nove mesi, a partire dal pozzo, una serie di cunicoli, scavati nel banco di tufo vulcanico. Tali gallerie sotterranee, segnate a tratteggio nella prima pianta nota del teatro, iniziata da Alcubierre gia' nel 1738, successivamente aggiornata, e terminata nel 1747, interessarono l'intero fronte della scena, che fu spogliata del suo ricco rivestimento marmoreo e della maggior parte delle statue che l'adornavano (alcune delle quali furono rinvenute ancora in piedi nelle loro nicchie), il palcoscenico e parte del tribunal settentrionale. Gli scavi (dei quali possediamo, come principale documentazione, una breve notizia dell'architetto Giuseppe Stendardo, pubblicata nel Giornale de' letterati d'Italia, t. V, Venezia 1711, una relazione manoscritta del parroco della vicina chiesa di S. Maria di Pugliano dell'epoca, Imperato del Paone, e le notizie raccolte da Francesco La Vega piu' di cinquant'anni dopo tra gli operai che lavorarono al pozzo), si interruppero per l'intervento della magistratura fiscale vicereale (la Camera della Sommaria) e per il timore di danni ai fabbricati soprastanti. Il Conte di Caylus durante il suo viaggio in Italia, nel 1715, pote' osservare le impalcature di legno del pozzo gia' marcite. Gia' allora il sito era correttamente identificato con Ercolano, anche se l'edificio scoperto era supposto essere un tempio di Ercole. Si rinvennero almeno otto statue femminili e una maschile in nudita' eroica, colonne di marmo africano, cipollino, giallo antico e di alabastro fiorito, cornici marmoree, un architrave con iscrizione menzionante il console del 38 a. C. Ap. Claudius Pulcher, grandi dolii di terracotta. Le tre statue femminili meglio conservate (la Grande e le due Piccole Ercolanesi, derivate da originali del IV secolo a. C., dopo una tappa per il restauro a Roma, furono inviate in dono al comandante delle armate imperiali Eugenio di Savoia per adornare il Palazzo del Belvedere a Vienna; in una lettera del 1 febbraio 1713 il principe ringrazia per l'omaggio. Dopo la sua morte, esse furono vendute al principe elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto III e sono oggi vanto del Museo di Dresda. Altre statue pare fossero inviate in Francia in dono al Re o a suo fratello. La statua in nudita' eroica, ritenuta di Ercole, altre 4 statue e l'architrave con l'iscrizione CIL X, 1423, rimaste nella villa del Granatello dopo la partenza da Napoli del principe, quando l'edificio fu acquistato da Carlo III di Borbone per ampliare il sito reale di Portici, furono trasportate nella Reggia il 19 dicembre 1738: tre di esse sono forse da identificare con quelle poste ancora oggi nelle nicchie del cortile superiore, una quarta fu completata come Flora e sistemata dal Canart alla sommita' della monumentale fontana dell'Orto botanico. Quasi quarant'anni dopo gli scavi del d'Elboeuf, nel 1738, mentre Carlo III di Borbone faceva costruire la Reggia di Portici, un capitano del genio, lo spagnolo Rocco Gioacchino D'Alcubierre, incaricato di realizzare una pianta aggiornata di quei contorni, venne a sapere del pozzo e dei ritrovamenti del principe d'Elboeuf. Richiese dunque qualche operaio per tentare una nuova esplorazione e, superata l'iniziale opposizione del ministro Giuseppe Montealegre, grazie ad un colloquio diretto col Re, inizio' il difficile e fortunato scavo sotterraneo borbonico di Ercolano, attraverso pozzi, rampe e cunicoli. Quasi subito fu recuperato un altro torso di statua in nudita' eroica (altri due, uno dei quali completato con una testa-ritratto di M. Nonius Balbus, della quale resta ancora l'impronta nel tufo nella volta di un cunicolo della scena, furono rinvenuti fra il 9 e il 13 agosto 1765 e il 6 febbraio e 18 aprile 1768 durante i successivi scavi di La Vega) e, poco dopo, una statua femminile di bronzo in crollo sul tribunal Nord, colonne di marmo giallo e rosso antico, di cipollino, di alabastro fiorito, di africano e di portasanta, frammenti di cornici e di iscrizioni. Un ruolo di primo piano ebbe, all'inizio delle scoperte borboniche di Ercolano, l'erudito cortonese Marcello Venuti. Interpellato dal Re mentre espletava l'incarico della sistemazione della biblioteca, del medagliere, delle antichita' e della galleria farnesiana, allora trasferiti da Parma a Napoli, fu il primo che, esaminando i frammenti di iscrizioni scoperti, comprese che l'edificio in corso di scavo era il teatro di Ercolano e non un tempio di Ercole. Anche dopo la sua forzata partenza da Napoli, nel giugno 1740, dovuta in parte alle voci che egli comunicasse a suoi corrispondenti i risultati delle scoperte ercolanesi e in parte alle necessita' dell'amministrazione dell'avito patrimonio, pote' avere qualche notizia sugli scavi. Sfidando le ire del re di Napoli, che nel 1746 aveva affidato ad Ottavio Antonio Baiardi, parmense cugino del ministro Fogliani, il compito di scrivere "una dissertazione sull'antica Ercolano, e di illustrare quelle Antichita'", fu, insieme al Gori, il primo serio divulgatore italiano delle sensazionali scoperte vesuviane con l'opera, pubblicata nel 1748 e subito tradotta all'estero, "Descrizione delle prime scoperte dell'antica citta' di Ercolano". Le notizie del Venuti vanno pero' sottoposte a critica in quanto egli confonde con i ritrovamenti del teatro quelli che ebbero luogo all'incrocio fra il decumano massimo e il III cardine, nella basilica civile e nella piazza porticata di eta' claudia detta nel Settecento basilica. Fin dall'inizio degli scavi borbonici un interesse particolare fu rivolto alla conoscenza dell'architettura dell'edificio. Alcubierre, come si e' detto, delineo' una prima pianta, iniziata gia' nel 1738, successivamente aggiornata, terminata e incisa nel 1747. Il bravo ingegnere militare francese Bardet de Villeneuve, che sostitui' l'Alcubierre durante una sua malattia, fra il 1741 e il 1745, esegui' altri rilievi del teatro, ora perduti (salvo una pianta generale con un settore di Ercolano che comprende il teatro), ma dei quali ci resta la didascalia, e che furono sottoposti al vaglio critico dell'erudito Matteo Egizio, regio bibliotecario. Segue in ordine di tempo la pianta, della quale esiste anche l'originale manoscritto, eseguita nel 1750 e pubblicata dal Cochin e dal Bellicard. Nuovi rilievi, assai piu' accurati, furono eseguiti da Carlo Weber, ingegnere militare svizzero chiamato nel 1750 ad affiancare l'Alcubierre. Nonostante la decisa opposizione di quest'ultimo, il Weber indago' a fondo la scena e i suoi meccanismi e rinvenne anche una seconda statua femminile di bronzo, originariamente collocata nell'edicola meridionale alla sommita' dell'edificio, precipitata lungo la cintura esterna del teatro. Lo stesso Weber avanzo', nel 1760, l'idea dello scavo a cielo aperto di 1/3 dell'edificio, trasmettendo un accurato progetto al Tanucci. Tale proposta, approvata dal Winckelmann e dal Piaggio, fu esaminata positivamente dall'architetto Luigi Vanvitelli, con la sola obiezione della necessita' di creare un conveniente canale di scolo per l'acqua piovana, e poi anche da Ferdinando Fuga, ma non fu poi attuata, non solo per la spesa occorrente, ma anche per la decisa opposizione dell'Alcubierre (che vedeva da tempo di cattivo occhio l'attivita' del suo sottoposto, attivo e colto, e temeva il crollo delle sovrastanti case in caso di terremoto, a causa del gran vuoto creato dagli scavi davanti alla scena) e per la sopraggiunta morte, nel 1764, dell'architetto militare svizzero. A quella data furono consegnati al marchese Berardo Galiani (1724-1774), fratello del piu' noto illuminista Ferdinando, l'accademico ercolanese - celebre traduttore di Vitruvio - incaricato dell'edizione dell'edificio (in un progettato apposito volume delle Antichita' di Ercolano dove doveva comparire anche l'edizione dei teatri di Pompei), nove disegni del teatro di Ercolano, in aggiunta ai due che gia' aveva avuto in consegna. Egli, in una relazione di poco successiva, li giudica precisi, ma bisognosi di riduzione e di completamenti di dettaglio per permetterne l'edizione. Tutti questi disegni del Weber sono oggi dispersi e solo rimane, forse di sua mano, una pianta incisa in rame, gia' completata, sembra, nel 1751 e una pianta acquerellata incompleta, recuperata fra le carte dell'accademico ercolanese Andrea De Jorio e ora conservata nell'officina dei papiri della Biblioteca Nazionale di Napoli, datata 1763, che e' poi quella richiesta dal Tanucci il 26 novembre 1763. Come si e' detto, il Galiani giudico' i disegni del Weber accurati, ma richiese che fossero effettuati nuovi sondaggi a cura del giovanissimo successore dello svizzero, Francesco La Vega, e in particolare due tagli verticali per precisare l'ordine esterno del teatro, e fossero fatte delle indagini per stabilire come fosse l'accesso dai parasceni al palcoscenico (pulpitum), dei saggi per stabilire l'altezza e la conformazione della scena e se esistessero risvolti del colonnato della porticus post scaenam. La Vega si mise subito all'opera, non senza aver sollecitato un ordine scritto del Tanucci per impedire le angustie che l'Alcubierre aveva riservato al suo predecessore, riuscendo a raccogliere alcuni nuovi dati: la presenza del tempietto al centro della sommita' del teatro, la conformazione della fossa scenica e la copertura a travi dei parasceni, la scoperta, nel 1768, sui gradini davanti ai tribunalia, delle iscrizioni dedicate a M. Nonius Balbus e ad Ap. Claudius Pulcher: che non furono asportate su esplicita proposta del valente architetto. Con un saggio effettuato con l'ausilio di una pompa idraulica (tromba), a causa dell'acqua affiorante (che si voleva utilizzare per l'approvvigionamento della reggia di Portici), egli riusci' a raggiungere il pavimento di cocciopesto della terrazza sita dietro la porticus post scaenam, ad un livello di molto inferiore (m. 9,64 sul livello del mare), degradando il terreno dalla quota del pianoro sul quale sorgeva l'antica citta' da quel lato. Nel 1771 lo stesso La Vega riferisce di avere gia' eseguito molti e dettagliati disegni del teatro che nel 1774 venivano completati su indicazione anche dell'Alcubierre. Il 4 maggio 1776 gliene fu richiesta dal marchese della Sambuca, ministro di Casa Reale, una copia. Il 15 aprile 1777 La Vega inviava alla Regina Maria Carolina 7 disegni, e cioe' tre piante, tre sezioni ed un prospetto. Ma alcuni disegni dovettero rimanere presso l'architetto, che li mostro' nel 1785 al viaggiatore polacco Stanislao Poniatowsky, nipote del Re. Di questa numerosa serie di grafici sopravvivono oggi solo due piante e un prospetto, conservati presso la Societa' Napoletana di Storia Patria, provenienti, pare, dall'archivio privato del segretario perpetuo dell'Accademia Ercolanese e Soprintendente generale degli Scavi Francesco Maria Avellino: sembra siano gli stessi disegni gia' conservati presso la Soprintendenza degli Scavi, e ricordati da documenti nel 1808 e nel 1828. Morto nel 1774 Berardo Galiani (che aveva realizzato anche un modello di legno del Teatro di Ercolano, ora perduto), nel 1783 venne pubblicato a Roma il volume del figlio del celebre incisore Giovanni Battista Piranesi, Francesco, Il teatro d'Ercolano, con tavole eleganti anche se poco precise, basate forse sugli schizzi realizzati dal padre in occasione dei suoi viaggi a Napoli nel 1770 e nel 1777, e dedicato al re di Svezia Gustavo III, del quale Francesco fu agente diplomatico a Roma. Come cio' sia stato possibile, senza un permesso ufficiale del Re di Napoli, permane un mistero. Francesco Piranesi, aderente alla massoneria e visto con occhio sospetto a Roma e a Napoli per essere ministro di un sovrano protestante, fu poi coinvolto, durante il successivo periodo delle reggenza svedese di Carlo il Temerario, nel 1794, nel tentativo di assassinio a Napoli, dove si era rifugiato, del conte Armfelt, considerato dal reggente traditore della Patria, e in tale occasione fu condannato a morte in contumacia dall'Acton. Al primo ministro napoletano il Piranesi indirizzo' in sua difesa un libello, pare dovuto a Vincenzo Monti: Lettera di Francesco Piranesi al signor generale Giovanni Acton, che irrito' molto il potente ministro. E' anche possibile che il Piranesi sia venuto in possesso o a conoscenza, dopo la morte del marchese Berardo Galiani nel 1774, della serie dei disegni originali del Weber, che infatti risultano smarriti dopo tale data, oppure di una delle serie dei disegni di La Vega. Si puo' osservare la singolare coincidenza che proprio nell'aprile del 1776 furono richieste dalla Regina Maria Carolina le copie dei disegni di La Vega, consegnati solo un anno dopo: forse l'ipotesi migliore e' che fu la stessa Regina a consegnarli, non sappiamo se in forma ufficiale o preliminare, forse per inciderli, a Giovan Battista Piranesi, che pero' mori' improvvisamente proprio quello stesso anno. Anche l'abate di Saint-Non nella sua celebre opera pote' pubblicare due piante e tre sezioni del teatro di Ercolano, realizzate nel 1779 dal Paris sulla base, come lui stesso dice, di disegni consegnati dalla corte napoletana. Dagli appunti autografi del Paris, conservati in Francia, al Museo municipale di Besancon, apprendiamo che gli furono consegnati da un funzionario borbonico, tal V. Brenna, che li aveva avuti "dai disegnatori del Re". Agli inizi dell'Ottocento, durante il regno di Murat, accurati studi e rilievi del teatro di Ercolano furono eseguiti dall'architetto francese F. Mazois, e furono pubblicati, postumi, solo nel 1838; nel 1808 furono realizzati da D. Padiglione, su proposta del Soprintendente Michele Arditi, due plastici dell'edificio, in legno e sughero, a scopo didattico. Del teatro di Ercolano si ricomincio' a parlare nel 1847, quando il regio architetto Antonio Niccolini propose di effettuare nuovi tagli verticali per cercare di rinvenire le parti alte della scena, ma l'idea non ebbe esito concreto. Nel 1849, su proposta della Commissione per le riforme del R. Museo e degli Scavi di Antichita', si riattarono gli ambienti d'ingresso al monumento, tenuti in assai cattivo stato. Dopo l'Unita' essi furono risistemati, per iniziativa del Fiorelli, nel 1865. Nel 1885 furono pubblicati da M. Ruggiero, con i documenti originali di scavo ed una accurata descrizione dell'edificio, i rilievi da lui fatti appositamente eseguire dagli architetti Giuseppe Solari ed Eugenio Leone. Nuovi e accuratissimi rilievi sono stati eseguiti nel 1993 e poi nel 1997-98, sotto la direzione di Mario Pagano, della Soprintendenza archeologica di Pompei, dagli arch. Alfredo Balasco e Alfredo Maciariello e dal geom. Pietro Cifone. Nel corso dell'esecuzione di questi nuovi rilievi sono stati effettuati due piccolissimi scavi al fine di mettere interamente allo scoperto un'iscrizione dipinta e per recuperare alcuni frammenti di scultura in bronzo e una cornice marmorea d'angolo del sacello centrale presente alla sommita' della cavea, a lato del pozzo grande.


La scoperta del teatro di Ercolano risale al 1710. Un contadino, tal Ambrogio Nocerino detto Enzechetta, nell'approfondire un pozzo per irrigare il proprio orto alle spalle della chiesetta di S. Giacomo a Resina, l'odierna Ercolano, scopri' alcuni marmi. Li osservo', e li compro' un artigiano marmista che passava li' per caso (ne realizzo' gli ornamenti di alcune cappelle a Napoli), e che lavorava al servizio del principe d'Elboeuf, nobile esule francese, comandante delle armate austriache a Napoli. Questi stava allora innalzando e decorando una splendida villa al Granatello di Portici, in riva al mare, che ancora oggi si puo' ammirare. Venuto il ritrovamento dei marmi all'interno del pozzo all'orecchio del principe, il d'Elboeuf fece scavare per nove mesi, a partire dal pozzo, una serie di cunicoli, scavati nel banco di tufo vulcanico. Tali gallerie sotterranee, segnate a tratteggio nella prima pianta nota del teatro, iniziata da Alcubierre gia' nel 1738, successivamente aggiornata, e terminata nel 1747, interessarono l'intero fronte della scena, che fu spogliata del suo ricco rivestimento marmoreo e della maggior parte delle statue che l'adornavano (alcune delle quali furono rinvenute ancora in piedi nelle loro nicchie), il palcoscenico e parte del tribunal settentrionale. Gli scavi (dei quali possediamo, come principale documentazione, una breve notizia dell'architetto Giuseppe Stendardo, pubblicata nel Giornale de' letterati d'Italia, t. V, Venezia 1711, una relazione manoscritta del parroco della vicina chiesa di S. Maria di Pugliano dell'epoca, Imperato del Paone, e le notizie raccolte da Francesco La Vega piu' di cinquant'anni dopo tra gli operai che lavorarono al pozzo), si interruppero per l'intervento della magistratura fiscale vicereale (la Camera della Sommaria) e per il timore di danni ai fabbricati soprastanti. Il Conte di Caylus durante il suo viaggio in Italia, nel 1715, pote' osservare le impalcature di legno del pozzo gia' marcite. Gia' allora il sito era correttamente identificato con Ercolano, anche se l'edificio scoperto era supposto essere un tempio di Ercole. Si rinvennero almeno otto statue femminili e una maschile in nudita' eroica, colonne di marmo africano, cipollino, giallo antico e di alabastro fiorito, cornici marmoree, un architrave con iscrizione menzionante il console del 38 a. C. Ap. Claudius Pulcher, grandi dolii di terracotta. Le tre statue femminili meglio conservate (la Grande e le due Piccole Ercolanesi, derivate da originali del IV secolo a. C., dopo una tappa per il restauro a Roma, furono inviate in dono al comandante delle armate imperiali Eugenio di Savoia per adornare il Palazzo del Belvedere a Vienna; in una lettera del 1 febbraio 1713 il principe ringrazia per l'omaggio. Dopo la sua morte, esse furono vendute al principe elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto III e sono oggi vanto del Museo di Dresda. Altre statue pare fossero inviate in Francia in dono al Re o a suo fratello. La statua in nudita' eroica, ritenuta di Ercole, altre 4 statue e l'architrave con l'iscrizione CIL X, 1423, rimaste nella villa del Granatello dopo la partenza da Napoli del principe, quando l'edificio fu acquistato da Carlo III di Borbone per ampliare il sito reale di Portici, furono trasportate nella Reggia il 19 dicembre 1738: tre di esse sono forse da identificare con quelle poste ancora oggi nelle nicchie del cortile superiore, una quarta fu completata come Flora e sistemata dal Canart alla sommita' della monumentale fontana dell'Orto botanico. Quasi quarant'anni dopo gli scavi del d'Elboeuf, nel 1738, mentre Carlo III di Borbone faceva costruire la Reggia di Portici, un capitano del genio, lo spagnolo Rocco Gioacchino D'Alcubierre, incaricato di realizzare una pianta aggiornata di quei contorni, venne a sapere del pozzo e dei ritrovamenti del principe d'Elboeuf. Richiese dunque qualche operaio per tentare una nuova esplorazione e, superata l'iniziale opposizione del ministro Giuseppe Montealegre, grazie ad un colloquio diretto col Re, inizio' il difficile e fortunato scavo sotterraneo borbonico di Ercolano, attraverso pozzi, rampe e cunicoli. Quasi subito fu recuperato un altro torso di statua in nudita' eroica (altri due, uno dei quali completato con una testa-ritratto di M. Nonius Balbus, della quale resta ancora l'impronta nel tufo nella volta di un cunicolo della scena, furono rinvenuti fra il 9 e il 13 agosto 1765 e il 6 febbraio e 18 aprile 1768 durante i successivi scavi di La Vega) e, poco dopo, una statua femminile di bronzo in crollo sul tribunal Nord, colonne di marmo giallo e rosso antico, di cipollino, di alabastro fiorito, di africano e di portasanta, frammenti di cornici e di iscrizioni. Un ruolo di primo piano ebbe, all'inizio delle scoperte borboniche di Ercolano, l'erudito cortonese Marcello Venuti. Interpellato dal Re mentre espletava l'incarico della sistemazione della biblioteca, del medagliere, delle antichita' e della galleria farnesiana, allora trasferiti da Parma a Napoli, fu il primo che, esaminando i frammenti di iscrizioni scoperti, comprese che l'edificio in corso di scavo era il teatro di Ercolano e non un tempio di Ercole. Anche dopo la sua forzata partenza da Napoli, nel giugno 1740, dovuta in parte alle voci che egli comunicasse a suoi corrispondenti i risultati delle scoperte ercolanesi e in parte alle necessita' dell'amministrazione dell'avito patrimonio, pote' avere qualche notizia sugli scavi. Sfidando le ire del re di Napoli, che nel 1746 aveva affidato ad Ottavio Antonio Baiardi, parmense cugino del ministro Fogliani, il compito di scrivere "una dissertazione sull'antica Ercolano, e di illustrare quelle Antichita'", fu, insieme al Gori, il primo serio divulgatore italiano delle sensazionali scoperte vesuviane con l'opera, pubblicata nel 1748 e subito tradotta all'estero, "Descrizione delle prime scoperte dell'antica citta' di Ercolano". Le notizie del Venuti vanno pero' sottoposte a critica in quanto egli confonde con i ritrovamenti del teatro quelli che ebbero luogo all'incrocio fra il decumano massimo e il III cardine, nella basilica civile e nella piazza porticata di eta' claudia detta nel Settecento basilica. Fin dall'inizio degli scavi borbonici un interesse particolare fu rivolto alla conoscenza dell'architettura dell'edificio. Alcubierre, come si e' detto, delineo' una prima pianta, iniziata gia' nel 1738, successivamente aggiornata, terminata e incisa nel 1747. Il bravo ingegnere militare francese Bardet de Villeneuve, che sostitui' l'Alcubierre durante una sua malattia, fra il 1741 e il 1745, esegui' altri rilievi del teatro, ora perduti (salvo una pianta generale con un settore di Ercolano che comprende il teatro), ma dei quali ci resta la didascalia, e che furono sottoposti al vaglio critico dell'erudito Matteo Egizio, regio bibliotecario. Segue in ordine di tempo la pianta, della quale esiste anche l'originale manoscritto, eseguita nel 1750 e pubblicata dal Cochin e dal Bellicard. Nuovi rilievi, assai piu' accurati, furono eseguiti da Carlo Weber, ingegnere militare svizzero chiamato nel 1750 ad affiancare l'Alcubierre. Nonostante la decisa opposizione di quest'ultimo, il Weber indago' a fondo la scena e i suoi meccanismi e rinvenne anche una seconda statua femminile di bronzo, originariamente collocata nell'edicola meridionale alla sommita' dell'edificio, precipitata lungo la cintura esterna del teatro. Lo stesso Weber avanzo', nel 1760, l'idea dello scavo a cielo aperto di 1/3 dell'edificio, trasmettendo un accurato progetto al Tanucci. Tale proposta, approvata dal Winckelmann e dal Piaggio, fu esaminata positivamente dall'architetto Luigi Vanvitelli, con la sola obiezione della necessita' di creare un conveniente canale di scolo per l'acqua piovana, e poi anche da Ferdinando Fuga, ma non fu poi attuata, non solo per la spesa occorrente, ma anche per la decisa opposizione dell'Alcubierre (che vedeva da tempo di cattivo occhio l'attivita' del suo sottoposto, attivo e colto, e temeva il crollo delle sovrastanti case in caso di terremoto, a causa del gran vuoto creato dagli scavi davanti alla scena) e per la sopraggiunta morte, nel 1764, dell'architetto militare svizzero. A quella data furono consegnati al marchese Berardo Galiani (1724-1774), fratello del piu' noto illuminista Ferdinando, l'accademico ercolanese - celebre traduttore di Vitruvio - incaricato dell'edizione dell'edificio (in un progettato apposito volume delle Antichita' di Ercolano dove doveva comparire anche l'edizione dei teatri di Pompei), nove disegni del teatro di Ercolano, in aggiunta ai due che gia' aveva avuto in consegna. Egli, in una relazione di poco successiva, li giudica precisi, ma bisognosi di riduzione e di completamenti di dettaglio per permetterne l'edizione. Tutti questi disegni del Weber sono oggi dispersi e solo rimane, forse di sua mano, una pianta incisa in rame, gia' completata, sembra, nel 1751 e una pianta acquerellata incompleta, recuperata fra le carte dell'accademico ercolanese Andrea De Jorio e ora conservata nell'officina dei papiri della Biblioteca Nazionale di Napoli, datata 1763, che e' poi quella richiesta dal Tanucci il 26 novembre 1763. Come si e' detto, il Galiani giudico' i disegni del Weber accurati, ma richiese che fossero effettuati nuovi sondaggi a cura del giovanissimo successore dello svizzero, Francesco La Vega, e in particolare due tagli verticali per precisare l'ordine esterno del teatro, e fossero fatte delle indagini per stabilire come fosse l'accesso dai parasceni al palcoscenico (pulpitum), dei saggi per stabilire l'altezza e la conformazione della scena e se esistessero risvolti del colonnato della porticus post scaenam. La Vega si mise subito all'opera, non senza aver sollecitato un ordine scritto del Tanucci per impedire le angustie che l'Alcubierre aveva riservato al suo predecessore, riuscendo a raccogliere alcuni nuovi dati: la presenza del tempietto al centro della sommita' del teatro, la conformazione della fossa scenica e la copertura a travi dei parasceni, la scoperta, nel 1768, sui gradini davanti ai tribunalia, delle iscrizioni dedicate a M. Nonius Balbus e ad Ap. Claudius Pulcher: che non furono asportate su esplicita proposta del valente architetto. Con un saggio effettuato con l'ausilio di una pompa idraulica (tromba), a causa dell'acqua affiorante (che si voleva utilizzare per l'approvvigionamento della reggia di Portici), egli riusci' a raggiungere il pavimento di cocciopesto della terrazza sita dietro la porticus post scaenam, ad un livello di molto inferiore (m. 9,64 sul livello del mare), degradando il terreno dalla quota del pianoro sul quale sorgeva l'antica citta' da quel lato. Nel 1771 lo stesso La Vega riferisce di avere gia' eseguito molti e dettagliati disegni del teatro che nel 1774 venivano completati su indicazione anche dell'Alcubierre. Il 4 maggio 1776 gliene fu richiesta dal marchese della Sambuca, ministro di Casa Reale, una copia. Il 15 aprile 1777 La Vega inviava alla Regina Maria Carolina 7 disegni, e cioe' tre piante, tre sezioni ed un prospetto. Ma alcuni disegni dovettero rimanere presso l'architetto, che li mostro' nel 1785 al viaggiatore polacco Stanislao Poniatowsky, nipote del Re. Di questa numerosa serie di grafici sopravvivono oggi solo due piante e un prospetto, conservati presso la Societa' Napoletana di Storia Patria, provenienti, pare, dall'archivio privato del segretario perpetuo dell'Accademia Ercolanese e Soprintendente generale degli Scavi Francesco Maria Avellino: sembra siano gli stessi disegni gia' conservati presso la Soprintendenza degli Scavi, e ricordati da documenti nel 1808 e nel 1828. Morto nel 1774 Berardo Galiani (che aveva realizzato anche un modello di legno del Teatro di Ercolano, ora perduto), nel 1783 venne pubblicato a Roma il volume del figlio del celebre incisore Giovanni Battista Piranesi, Francesco, Il teatro d'Ercolano, con tavole eleganti anche se poco precise, basate forse sugli schizzi realizzati dal padre in occasione dei suoi viaggi a Napoli nel 1770 e nel 1777, e dedicato al re di Svezia Gustavo III, del quale Francesco fu agente diplomatico a Roma. Come cio' sia stato possibile, senza un permesso ufficiale del Re di Napoli, permane un mistero. Francesco Piranesi, aderente alla massoneria e visto con occhio sospetto a Roma e a Napoli per essere ministro di un sovrano protestante, fu poi coinvolto, durante il successivo periodo delle reggenza svedese di Carlo il Temerario, nel 1794, nel tentativo di assassinio a Napoli, dove si era rifugiato, del conte Armfelt, considerato dal reggente traditore della Patria, e in tale occasione fu condannato a morte in contumacia dall'Acton. Al primo ministro napoletano il Piranesi indirizzo' in sua difesa un libello, pare dovuto a Vincenzo Monti: Lettera di Francesco Piranesi al signor generale Giovanni Acton, che irrito' molto il potente ministro. E' anche possibile che il Piranesi sia venuto in possesso o a conoscenza, dopo la morte del marchese Berardo Galiani nel 1774, della serie dei disegni originali del Weber, che infatti risultano smarriti dopo tale data, oppure di una delle serie dei disegni di La Vega. Si puo' osservare la singolare coincidenza che proprio nell'aprile del 1776 furono richieste dalla Regina Maria Carolina le copie dei disegni di La Vega, consegnati solo un anno dopo: forse l'ipotesi migliore e' che fu la stessa Regina a consegnarli, non sappiamo se in forma ufficiale o preliminare, forse per inciderli, a Giovan Battista Piranesi, che pero' mori' improvvisamente proprio quello stesso anno. Anche l'abate di Saint-Non nella sua celebre opera pote' pubblicare due piante e tre sezioni del teatro di Ercolano, realizzate nel 1779 dal Paris sulla base, come lui stesso dice, di disegni consegnati dalla corte napoletana. Dagli appunti autografi del Paris, conservati in Francia, al Museo municipale di Besancon, apprendiamo che gli furono consegnati da un funzionario borbonico, tal V. Brenna, che li aveva avuti "dai disegnatori del Re". Agli inizi dell'Ottocento, durante il regno di Murat, accurati studi e rilievi del teatro di Ercolano furono eseguiti dall'architetto francese F. Mazois, e furono pubblicati, postumi, solo nel 1838; nel 1808 furono realizzati da D. Padiglione, su proposta del Soprintendente Michele Arditi, due plastici dell'edificio, in legno e sughero, a scopo didattico. Del teatro di Ercolano si ricomincio' a parlare nel 1847, quando il regio architetto Antonio Niccolini propose di effettuare nuovi tagli verticali per cercare di rinvenire le parti alte della scena, ma l'idea non ebbe esito concreto. Nel 1849, su proposta della Commissione per le riforme del R. Museo e degli Scavi di Antichita', si riattarono gli ambienti d'ingresso al monumento, tenuti in assai cattivo stato. Dopo l'Unita' essi furono risistemati, per iniziativa del Fiorelli, nel 1865. Nel 1885 furono pubblicati da M. Ruggiero, con i documenti originali di scavo ed una accurata descrizione dell'edificio, i rilievi da lui fatti appositamente eseguire dagli architetti Giuseppe Solari ed Eugenio Leone. Nuovi e accuratissimi rilievi sono stati eseguiti nel 1993 e poi nel 1997-98, sotto la direzione di Mario Pagano, della Soprintendenza archeologica di Pompei, dagli arch. Alfredo Balasco e Alfredo Maciariello e dal geom. Pietro Cifone. Nel corso dell'esecuzione di questi nuovi rilievi sono stati effettuati due piccolissimi scavi al fine di mettere interamente allo scoperto un'iscrizione dipinta e per recuperare alcuni frammenti di scultura in bronzo e una cornice marmorea d'angolo del sacello centrale presente alla sommita' della cavea, a lato del pozzo grande.


Si riportano, in ordine cronologico, le testimonianze relative allo scavo del teatro che, pur non rientrando nella documentazione ufficiale, sono ricavate da lettere, pubblicazioni e manoscritti opera di persone direttamente o indirettamente coinvolte nell'illustrazione del sito, c on incarichi diversi, e che forniscono talvolta preziose notizie di prima mano.



Si riportano, in ordine cronologico, le testimonianze relative allo scavo del teatro che, pur non rientrando nella documentazione ufficiale, sono ricavate da lettere, pubblicazioni e manoscritti opera di persone direttamente o indirettamente coinvolte nell'illustrazione del sito, c on incarichi diversi, e che forniscono talvolta preziose notizie di prima mano.




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