Home>Teatro

Teatro - (Edificio)
Segna negli appunti
L'accesso. I locali d'accesso, sistemati gia' all'inizio degli Scavi, nel 1750, per controllare una delle rampe di ingresso ai cunicoli sotterranei e facilitare la visita ai viaggiatori autorizzati, rimaneggiati agli inizi dell'Ottocento (quando, in epoca murattiana, fu rettificato il tracciato dell'attuale Corso Resina), furono risistemati nel 1849 in stile pompeiano dall'architetto Giuseppe Settembre, e restaurati per iniziativa di Giuseppe Fiorelli, come recita l'iscrizione sulla facciata, nel 1865. Nella stanza d'entrata sono state recentemente esposte fotografie delle varie piante delineate dell'edificio, dalla piu' antica, dell'Alcubierre, recuperata tra le carte dell'accademico ercolanese Andrea de Jorio, a quella schizzata dal Be'llicard (1750), alle uniche due superstiti della serie di Carlo Weber (1751 e 1763), alle uniche tre conservate del gruppo di quelle di Francesco La Vega, terminate nel 1777, ai rilievi del Piranesi, pubblicati nel 1783, a quelli pubblicati nel Voyage pittoresque del Saint-Non (1779), agli accurati disegni del Mazois, realizzati all'epoca di Murat, ai rilievi fatti eseguire dal Ruggiero (1885), a quelli odierni. La riproduzione di un quadro, del 1815, di L. Lemasle, ora a Capodimonte, con la visita al teatro dei figli del re Gioacchino Murat e una acquaforte di Giacinto Gigante richiamano alla mente la visita al monumento come si svolgeva nell'Ottocento, accompagnati dall'unico custode, munito di fiaccola, e aiutati da una guida stampata: la situazione non e' molto cambiata da allora, salvo che per la presenza del moderno impianto elettrico. Altre fotografie riproducono alcuni dei protagonisti degli scavi e degli studi ercolanesi e le statue della scena del teatro. Vi e' poi un'incisione, del 1749, con un apparato di festa ispirato all'edificio realizzato a Roma in occasione dell'omaggio feudale del Re di Napoli al papa. Al centro della stanza si trova un plastico del teatro, eseguito nel 1808, a scopo didattico, da D. Padiglione sulla base dei disegni pubblicati dal Saint-Non, originariamente colorato. Una replica del plastico, un tempo conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e' andata, sembra, perduta. Scesa una prima rampa di scale, si raggiunge una saletta dove sono esposti alcuni pezzi marmorei, frutto degli ultimi scavi borbonici settecenteschi, che F. La Vega decise di lasciare sul posto e di non trasferire al Museo di Portici. Si notano un capitello corinzio con palmette classicheggianti alla base, pezzi di cornici marmoree intagliate, un plinto e un tronco di colonna di marmo africano, pertinenti alla decorazione della scena, e anche un capitello ionico di tufo. Da qui, a sinistra, percorso un lungo corridoio scavato nel banco vulcanico, ci si affaccia su di un balconcino settecentesco, sorretto da mensole di piperno, aperto su di un grande pozzo di luce. Esso fu realizzato nel 1750, per dare aria e luce alle sottostanti grotte ed evacuare piu' facilmente parte del materiale di scavo; permette di osservare dall'alto una parte della gradinata del settore centrale della media cavea. Ritornati indietro, si scende poi per una grande scala, ricavata nel tufo vulcanico dagli scavatori settecenteschi, che conduce direttamente alla sommita' della media cavea. Il teatro e' orientato da Nord Est a Sud Ovest, con la cavea rivolta verso Est, e ha un diametro massimo di m. 54 e minimo di m. 41. E' interamente costruito in opera reticolata e cementizia, con ammorsature in tufelli agli angoli delle aperture, fatta eccezione per la scena e la facciata esterna del corridoio anulare in cui e' usato il laterizio. Il teatro e' sorretto interamente da un sistema di strutture cementizie, costituite da una cintura esterna di pilastri in laterizio, da muri semicircolari e da setti radiali in opera reticolata, uniti da un sistema di volte orizzontali e inclinate. Gli ambienti a raggiera, come riportato nei rilievi redatti dal La Vega tra il 1771 e il 1774, sembrano tutti comunicare con l'ambulacro della cintura esterna. Sulle pareti del teatro si notano firme, in varie lingue; oltre l'italiano, il francese, l'inglese e il russo antico), di viaggiatori sette-ottocenteschi, e anche piu' recenti, e i colpi delle punte dei picconi degli scavatori borbonici. Un po' dappertutto si scorgono inoltre i resti dell'impianto elettrico di emergenza realizzato durante la seconda guerra mondiale, quando l'edificio divenne il piu' importante rifugio antiaereo di Resina. La cavea. Allo sbocco di uno dei tre cunicoli collegati alla base della rampa (il secondo raggiunge sempre la sommita' della media cavea, il terzo sbocca direttamente nel corridoio anulare voltato che contorna la sommita' di questa), si giunge sulla fila piu' alta dei sedili, della media cavea, all'altezza del primo cuneo da nord est: di fronte si vede il muro terminale del risvolto della scena (versura), in opera reticolata con un rivestimento di intonaco rosso in basso (sul quale si nota, scendendo alcuni gradini, un paesaggio con alberi, finemente schizzato e di finti blocchi di stucco bianco contornati da una cornice ad astragali in alto. La media cavea. La media cavea, e' divisa in sei settori da sette scalette radiali; ad ogni sedile corrispondono due gradini delle scalette radiali. Lungo i percorsi attualmente praticabili s'incontrano altri numerosi cunicoli, riempiti e chiusi da pietrame vulcanico, scavati nel Settecento per indagare i vari settori della cavea e i podi dei tribunalia. Lungo la scaletta centrale, inglobati nel possente strato vulcanico, sono visibili i crolli dei muri, con molta probabilita', del sacello posto, in alto, sull'asse centrale del teatro. La parte alta della scaletta radiale centrale e' attraversata dal grande pozzo, realizzato nel 1750 per consentire il sollevamento verso la superficie dei materiali rinvenuti nello scavo e per dare luce ad una parte della gradinata della media cavea: in un angolo si trova un piu' antico pozzo per attingere l'acqua dalla falda, che ha tagliato la gradinata. La precinzione della media cavea, che era rivestita di lastre di marmo, asportate interamente in epoca borbonica (ne restano le impronte e lo strato di preparazione), sormontata da una cornice di marmo bianco ancora in parte conservata, sbocca, tramite sette piccole porticine ad arco, vomitoria, in una galleria, che presenta alle estremita' le due scale provenienti dall'emiciclo esterno dell'ordine inferiore. Il corridoio, all'intradosso della chiave dell'arco, costeggia la sommita' della media cavea ed e' coperto da una volta a botte dal sesto poco regolare. Edificato in opera reticolata rivestita d'intonaco bianco, esso disciplinava l'afflusso degli spettatori dall'emiciclo sottostante e alle scalette che conducono in summa cavea. Il materiale vulcanico che copri' il teatro e' piuttosto consistente: pero', doveva avere una forte componente gassosa, dal momento che, quando si compatto', e successivamente si litifico', la volta dell'ambulacro rimase vuota, ed infatti l'intonaco in quel settore e' perfettamente conservato. Dal corridoio, inoltre, e' possibile entrare in alcuni vani radiali aperti verso l'esterno del teatro da archi che hanno la stessa ampiezza di quelli inferiori. Questi piccoli spazi a pianta trapezoidale, oggi in massima parte non fruibili perche' ancora celati dal materiale vulcanico, sono protetti verso l'esterno da un basso parapetto costituito dalla cornice di coronamento del portico dell'ordine inferiore. In uno dei vani da dove inizia una delle scalette che permette di accedere alla summa cavea si puo' osservare, sulla parete, una iscrizione romana, dipinta con colore rosso in grandi lettere, sottoposta ad una firma in sanguigna settecentesca. Due piccoli ambienti, in buona parte non accessibili, a pianta rettangolare, chiudono simmetricamente la galleria, unendo in tal modo la cavea alla parte sommitale delle versurae. La facciata esterna della parete meridionale dell'ambiente a nord conserva, come si e' detto, una fine decorazione di I stile in pannelli di stucco bianco su zoccolo rosso, mentre sulle pareti esterne dell'ambiente posto a sud, s'appoggia una scaletta, a doppia rampa su volta inclinata, che termina da un lato sul fianco del podio posto nel settore settentrionale della gradinata dell'ultimo ordine e dall'altro prosegue alle sue spalle per poi smontare nel punto piu' alto della cavea. Sulla volta a botte di questa rampa si osserva una iscrizione dipinta. La summa cavea, indagata in epoca borbonica attraverso tre cavita' non comunicanti, si compone di tre gradini. E' divisa in quattro settori da altrettante scalette radiali. La precinzione superiore, costituita da un muro in reticolato, intonacato di bianco, sovrastato da una fila di blocchi di tufo pipernoide, poggia sulla volta dell'ambulacro sottostante. Al centro e ai lati di essa vi erano tre edicole, che insistono sulle volte radiali dell'emiciclo esterno, inquadrate da tre coppie di podi, in mattoni rivestiti di marmo, per statue equestri di bronzo dorato, che furono recuperate in molti frammenti nel '700. Del sacello centrale si possono ancora vedere i resti di una semicolonna in stucco rosso, un tratto di muratura, gli strati di preparazione, in cocciopesto, della pavimentazione e il paramento di lastre marmoree, che misurano m. 1,05 x 1,90, che rivestono, frontalmente, la muratura in opera laterizia del podio. Si vede, inoltre, ancora incastrato in un cunicolo che percorre il podio del sacello, un frammento di cornice, finemente intagliata, in marmo bianco. Di recente si sono rinvenuti in posizione di crollo, sulla verticale del sacello centrale e nelle vicinanze del vomitorio centrale della media cavea, frammenti di panneggio di statua in bronzo e un grosso pezzo della cornice d'angolo in marmo riferibile certamente all'elevato del sacello centrale. Inoltre, tra i due avancorpi dell'edicola posta a nord della summa cavea, e' ben visibile una base di colonna in marmo bianco Che il tempietto centrale non facesse parte del progetto originale del teatro, si puo' supporre dal fatto che l'avancorpo sud del podio, cavo nel suo interno, ha obliterato del tutto uno dei vomitori d'accesso alla summa cavea. Scendendo pochi gradini dell'ultima delle sette scalette a Nord-Est, si accede ad uno dei palchi d'onore , pavimentati con lastre di marmo bianco. Si nota la porta he collegava il tribunal ad un ambiente del primo piano delle versurae, sostenuto da travi di legno carbonizzate ancora al loro posto, che reggevano un pavimento di cocciopesto. Accanto all'ingresso di questo ambiente si nota, sull'intonaco rosso, la firma di un Pasquale Fer-, con l'indicazione Herculana domus mea. Davanti al tribunal Nord, sui tre gradini antistanti in basso, si trova una base di marmo con l'iscrizione, dedicata a Marco Nonio Balbo, pretore e governatore della provincia di Creta e Cirene, dagli Ercolanesi che contrassegnava una sedia curule onorifica. Sugli stessi gradini restano le tracce di un'altra base, asportata nel corso dei primi scavi, e gli attacchi di un bisellio di bronzo. Nel corso degli scavi borbonici furono infatti rinvenuti gli elementi di bronzo di due sedie curuli, ora conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Simmetricamente, sul tribunal opposto, anch'esso pavimentato con lastre di marmo, e' visibile la base con l'iscrizione dedicata, dopo la morte, ad Ap. Claudius Pulcher, amico di Cicerone, console nel 38 a. C. Si scende poi all'ima cavea, costituita da 4 gradini di marmo piu' bassi e larghi, un tempo separata dalla media cavea per mezzo di una transenna di lastre di marmo impostata su una cornice, interamente asportata, dove prendevano posto i maggiorenti. L'orchestra Si passa poi all'orchestra, pavimentata con grandi lastre di marmo bianco e giallo antico, delle quali si notano attualmente pochi resti. Ha una forma quasi semicircolare, tale da potersi inscrivere in un cerchio passante per gli estremi dell'abside che inquadra la porta centrale della scena, Il pulpitum Si raggiunge quindi la fronte del palcoscenico (pulpitum), in mattoni, un tempo rivestita di marmo, articolata con nicchie alternatamente rettangolari e curve, parzialmente restaurata da La Vega, che curo' di ben distinguere le parti integrate, in malta lisciata in sottosquadro, da quelle originali. Il muro, presenta scalette poste ai due estremi per consentire agli attori di salire sul tavolato del palco su cui avveniva l'azione scenica. Si nota la grande cavita' dello scavo borbonico praticato davanti al fronte-scena, parzialmente occlusa dai due enormi pilastri realizzati da La Vega nel 1767-8, su indicazione dell'Alcubierre per motivi di sicurezza. Essi impediscono, purtroppo, di godere pienamente l'insieme architettonico. I grandi pilastri ostruiscono completamente la fossa scenica, hyposcaenium, larga circa m. 6, attualmente non visibile ma facilmente riconoscibile nelle piante e nelle sezioni dei rilievi settecenteschi e ottocenteschi, quando fu indagata. Nella pianta del La Vega e nella sezione del Mazois si vede molto bene questo canale ubicato nella parte retrostante al palcoscenico, con i fori destinati all'inserimento dei pali in legno che servivano per la manovra del sipario. In alto, davanti alla porta regia, si vede un piccolo pozzo, praticato per la ventilazione o preesistente allo scavo borbonico. La scena Si passa ad osservare il fronte-scena (scaenae frons), interamente costruito in opera laterizia di tegole fratte, alto due piani: presenta al centro la grande esedra dove si apre la porta regia e, lateralmente, le due porte hospitales. Se ne conserva buona parte della struttura muraria del primo ordine, per un'altezza massima di m. 5,23. La scena era interamente rivestita di marmi pregiati, dei quali restano solo pochi elementi e le impronte nella malta di alcuni di quelli asportati. Dai documenti sappiamo che furono rinvenute colonne di marmo rosso e di giallo antico, di cipollino, di africano e di alabastro fiorito. Due colonne di marmo africano furono utilizzate nell'altare della Cappella del Palazzo Reale di Portici; un sopralluogo effettuato sull'altare della chiesa dal Dr. Mario Pagano ha mostrato che esso si compone di 4 colonne di marmo africano, ricomposte con molti listelli di restauro riattaccati, Il Venuti riferisce che molti marmi e le due colonne di rosso antico-tuttora visibili sulla balaustra del presbiterio-furono reimpiegate nell'abside del Duomo di Napoli, rifatto in quel tempo a causa di un terremoto. Un'altra tradizione, pero', che risale ad una relazione manoscritta del 1741, fa provenire queste due colonne dalla diaconia di S. Gennaro all'Olmo a Napoli. Si possono vedere, collocati dal La Vega sulla scena, anche due capitelli corinzi con palmette classicheggianti alla base, rifiniti solo nel lato anteriore, oltre quello ora situato all'ingresso. Sappiamo che un altro capitello fu clandestinamente inviato in Polonia nel 1783. Dell'originaria decorazione architettonica della scena rimangono poi nel teatro alcuni pezzi della cornice marmorea a mensole e cassettoni del primo ordine, frammenti di lastre d'architrave a fasce appartenenti tutti al primo ordine, un frammento di colonna in africano e numerosi pezzi di cornici marmoree di piccola dimensione. Un plinto in calcare bianco compatto potrebbe appartenere alla decorazione architettonica del secondo ordine. Sul podio del fronte-scena, poco sporgente, s'impostavano dieci colonne che inquadravano tre porte e quattro nicchie rettangolari ove in origine erano collocate le statue ritrovate nei primi scavi del principe d'Elboeuf. Altri due ingressi si trovano in corrispondenza dei risvolti racchiudenti la scena, detti parasceni, che mettono in comunicazione il palcoscenico con le aule, versurae, destinate al ritrovo del pubblico. Si osservano, inoltre, nel terreno vulcanico, le travi carbonizzate in crollo della copertura Le tre porte del fronte-scena immettono in una grande camera, forse adibita a spogliatoio per gli attori, che a sua volta comunica, attraverso tre aperture, con il portico retrostante. Nella parte retrostante della scena sono riconoscibili le due scale attraverso le quali si raggiungevano i tribunalia dopo aver percorso un passaggio costituito da un solaio di legno, di cui rimangono le travi carbonizzate, e aver disceso quattro gradini ancora in gran parte ben conservati. Ritornati indietro sul fronte scena, si penetra dapprima nella versura Ovest, dove si ammirano affreschi di IV stile ben conservati, su fondo bianco, disegnati, con quelli analoghi dell'opposta versura, nel 1772-3 da Vincenzo Campana in Antichita' di Ercolano (si conservano i rami, che non furono mai pubblicati. Ritornando sui propri passi, si procede visitando l'opposta versura. Anche qui si osservano gli affreschi di IV stile, sui quali sono sovrapposte centinaia di firme di visitatori. In alto si notano le travi carbonizzate del soffitto ancora al loro posto. In una delle arcate della versura si nota una singolare ricucitura in mattoni al posto dell'originaria struttura in conci di tufo: probabilmente si tratta della riparazione di un ingente danno dovuto al rovinoso terremoto del 62 d. C. La porticus post scaenam Dietro tutta la lunghezza della scena correva una porticus post scaenam, . Presentava una fila di colonne di laterizio rivestite di stucco bianco, scanalate, alcune delle quali visibili in crollo, impostate su di un gradino di grandi blocchi di tufo, preceduto da una canaletta, sempre in blocchi di tufo. La pavimentazione e' in terra battuta. Il portico si apriva su di una stretta terrazza, che poggiava su alcuni ambienti in reticolato, visibili in due punti. Questi ambienti preesistevano alla costruzione del teatro. Infatti il cunicolo che fiancheggia a Nord il basamento della porticus post scaenam ha tagliato gli strati anteriori, e in particolare un riempimento, di terra costipata, intonaci e altro materiale edilizio che verso Nord ha sigillato una pavimentazione di cocciopesto, certo realizzato quando fu costruita la porticus post scaenam. Sul lato Ovest del teatro esisteva un piccolo risvolto di questa porticus, ma con colonne in mattoni, rivestite di stucco: ancora al suo posto si vede un pilastro con due semicolonne, di dimensioni piu' piccole, che sottolineava uno degli ingressi alle parodoi del teatro, evidentemente quello principale (non a caso a lato di questo punto si trovava la nicchia decorata con le tre statue di togati). Le colonne erano impostate anche qui su di una fila di blocchi squadrati di tufo, basamento che si prolunga verso Sud-Est. Rimane poco chiaro il collegamento di questo risvolto con la porticus principale, e queste incertezze sono riflesse nei rilievi sette-ottocenteschi. La facciata esterna del teatro La parte centrale dell'emiciclo si articola in alzato su due ordini architettonici ritmati da archi a tutto sesto che cingono l'intera facciata. Le arcate, dalla luce costante, poggiano su robusti piedritti in laterizio, dalla pianta sagomata a "T", che sono separati dall'imposta degli archi da una semplice cornice in stucco. Dell'emiciclo, costituito da diciassette arcate piu' due terminali che immettono alle aule, versurae, poste ai lati dell'edificio scenico, e' visibile la parte bassa dei pilastri del primo ordine; tranne in due punti saggiati su istanza dell'Accademia Ercolanese ove e' possibile ammirare il doppio ordine di archi inquadrati da lesene poco sporgenti, in origine rudentate e rivestite di stucco e con semplici capitelli modanati. Uno dei tagli verticali eseguiti da La Vega per tutta l'altezza esterna dell'edificio (m. 10,20) si trova in corrispondenza del sacello centrale della summa cavea, che fu sezionato. Subito dopo questo taglio si vede a destra una porta o finestra a liste di legno carbonizzato in posizione di crollo, e, accanto, un restauro di La Vega con conti degli operai e la data 1777 graffita sulla malta. Infine, dopo uno slargo utilizzato nel Settecento come luogo di sosta nella visita (come mostrano una lastra di marmo ancora inserita nella parete per sostenere una lucerna e molte firme di viaggiatori ottocenteschi sull'intonaco della parete). A diretto contatto, sempre in direzione est, del quattordicesimo pilastro del deambulatorio inferiore, vi sono i resti di un edificio, in opera reticolata, il cui orientamento diverge da quello dei piedritti in laterizio del teatro. Si tratta forse di un monumento pubblico particolarmente significativo per la citta', la cui costruzione precede quella del teatro, tanto da imporre la sua conservazione anche a costo di creare una cesura evidente nei percorsi posti lungo la cintura esterna dell'emiciclo. La penultima arcata orientale presenta una particolare e piu' ricca decorazione architettonica con lesene, capitelli corinzi e un bellissimo cassettonato a rilievo di stucco nell'intradosso dell'arco in stucco bianco. In basso l'arcata presenta un podio, in origine rivestito di marmo, dove furono scoperte dall'Alcubierre tre statue di togati. Una statua maschile e' certamente quella conservata in una delle nicchie del cortile superiore della Reggia di Portici. Sopra la linea dei capitelli e' visibile un fregio liscio sormontato da una cornice aggettante sulla quale appoggiano i pilastri del secondo ordine; la cornice, inoltre, ha la funzione di parapetto degli ambienti radiali dislocati tra i fornici. In posizione simmetrica rispetto all'ambulacro vi sono due scale in tufo, che portano alla galleria della media cavea; un tompagno in muratura intonacata blocca il passaggio tra la scala nord e il corridoio esterno, probabilmente un intervento di consolidamento statico da mettersi in relazione al terremoto del 62. Superate le scale, l'ambulacro si collega a due corridoi, parodoi, dal piano di calpestio inclinato, coperti da volte a botte su cui poggiano i due palchi, gia' descritti, tribunalia, riservati ai magistrati locali oppure ad ospiti d'onore, che assistevano alle rappresentazioni teatrali da questi posti privilegiati. L'accesso tra l'orchestra e le parodoi avviene tramite due passaggi, aditi, che tagliano le prime file dei gradini, rimanendo scoperti per un primo tratto, fino a quando, raggiunta un'altezza sufficiente, s'immettono sotto la cavea prima con una volta a botte con andamento orizzontale piu' bassa e poi con un'altra rampante che s'innesta all'arcata dell'emiciclo esterno. Lungo le pareti verso sud, si aprono due vani, che immettono ai due avancorpi che racchiudono la scena, le gia' accennate versurae. La presenza lungo i corridoi di cardini per porte, uno dei quali fu rinvenuto da La Vega fa presumere che durante i periodi di inattivita' il teatro potesse essere chiuso al pubblico.
[More...]

L'accesso. I locali d'accesso, sistemati gia' all'inizio degli Scavi, nel 1750, per controllare una delle rampe di ingresso ai cunicoli sotterranei e facilitare la visita ai viaggiatori autorizzati, rimaneggiati agli inizi dell'Ottocento (quando, in epoca murattiana, fu rettificato il tracciato dell'attuale Corso Resina), furono risistemati nel 1849 in stile pompeiano dall'architetto Giuseppe Settembre, e restaurati per iniziativa di Giuseppe Fiorelli, come recita l'iscrizione sulla facciata, nel 1865. Nella stanza d'entrata sono state recentemente esposte fotografie delle varie piante delineate dell'edificio, dalla piu' antica, dell'Alcubierre, recuperata tra le carte dell'accademico ercolanese Andrea de Jorio, a quella schizzata dal Be'llicard (1750), alle uniche due superstiti della serie di Carlo Weber (1751 e 1763), alle uniche tre conservate del gruppo di quelle di Francesco La Vega, terminate nel 1777, ai rilievi del Piranesi, pubblicati nel 1783, a quelli pubblicati nel Voyage pittoresque del Saint-Non (1779), agli accurati disegni del Mazois, realizzati all'epoca di Murat, ai rilievi fatti eseguire dal Ruggiero (1885), a quelli odierni. La riproduzione di un quadro, del 1815, di L. Lemasle, ora a Capodimonte, con la visita al teatro dei figli del re Gioacchino Murat e una acquaforte di Giacinto Gigante richiamano alla mente la visita al monumento come si svolgeva nell'Ottocento, accompagnati dall'unico custode, munito di fiaccola, e aiutati da una guida stampata: la situazione non e' molto cambiata da allora, salvo che per la presenza del moderno impianto elettrico. Altre fotografie riproducono alcuni dei protagonisti degli scavi e degli studi ercolanesi e le statue della scena del teatro. Vi e' poi un'incisione, del 1749, con un apparato di festa ispirato all'edificio realizzato a Roma in occasione dell'omaggio feudale del Re di Napoli al papa. Al centro della stanza si trova un plastico del teatro, eseguito nel 1808, a scopo didattico, da D. Padiglione sulla base dei disegni pubblicati dal Saint-Non, originariamente colorato. Una replica del plastico, un tempo conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e' andata, sembra, perduta. Scesa una prima rampa di scale, si raggiunge una saletta dove sono esposti alcuni pezzi marmorei, frutto degli ultimi scavi borbonici settecenteschi, che F. La Vega decise di lasciare sul posto e di non trasferire al Museo di Portici. Si notano un capitello corinzio con palmette classicheggianti alla base, pezzi di cornici marmoree intagliate, un plinto e un tronco di colonna di marmo africano, pertinenti alla decorazione della scena, e anche un capitello ionico di tufo. Da qui, a sinistra, percorso un lungo corridoio scavato nel banco vulcanico, ci si affaccia su di un balconcino settecentesco, sorretto da mensole di piperno, aperto su di un grande pozzo di luce. Esso fu realizzato nel 1750, per dare aria e luce alle sottostanti grotte ed evacuare piu' facilmente parte del materiale di scavo; permette di osservare dall'alto una parte della gradinata del settore centrale della media cavea. Ritornati indietro, si scende poi per una grande scala, larga m. 2,50, ricavata nel tufo vulcanico dagli scavatori settecenteschi, che conduce direttamente alla sommita' della media cavea. Il teatro e' orientato da Nord Est a Sud Ovest, con la cavea rivolta verso Est, e ha un diametro massimo di m. 54 e minimo di m. 41. E' interamente costruito in opera reticolata e cementizia, con ammorsature in tufelli agli angoli delle aperture, fatta eccezione per la scena e la facciata esterna del corridoio anulare in cui e' usato il laterizio. Il teatro e' sorretto interamente da un sistema di strutture cementizie, costituite da una cintura esterna di pilastri in laterizio, da muri semicircolari e da setti radiali in opera reticolata, uniti da un sistema di volte orizzontali e inclinate. Gli ambienti a raggiera, come riportato nei rilievi redatti dal La Vega tra il 1771 e il 1774, sembrano tutti comunicare con l'ambulacro della cintura esterna. Sulle pareti del teatro si notano firme, in varie lingue; oltre l'italiano, il francese, l'inglese e il russo antico), di viaggiatori sette-ottocenteschi, e anche piu' recenti, e i colpi delle punte dei picconi degli scavatori borbonici. Un po' dappertutto si scorgono inoltre i resti dell'impianto elettrico di emergenza realizzato durante la seconda guerra mondiale, quando l'edificio divenne il piu' importante rifugio antiaereo di Resina. La cavea. Allo sbocco di uno dei tre cunicoli collegati alla base della rampa (il secondo raggiunge sempre la sommita' della media cavea, il terzo sbocca direttamente nel corridoio anulare voltato che contorna la sommita' di questa), si giunge sulla fila piu' alta dei sedili, in tufo pipernoide, della media cavea, all'altezza del primo cuneo da nord est: di fronte si vede il muro terminale del risvolto della scena (versura), in opera reticolata con un rivestimento di intonaco rosso in basso (sul quale si nota, scendendo alcuni gradini, un paesaggio con alberi, finemente schizzato e di finti blocchi di stucco bianco contornati da una cornice ad astragali in alto. La media cavea. La media cavea, formata da sedici file di sedili in tufo pipernoide grigio locale, e' divisa in sei settori da sette scalette radiali; ad ogni sedile corrispondono due gradini delle scalette radiali. Le dimensioni dei sedili sono prossime a quelle fissate da Vitruvio: m. 0,41 di altezza e m. 0,70 di profondita'. Lungo i percorsi attualmente praticabili s'incontrano altri numerosi cunicoli, riempiti e chiusi da pietrame vulcanico, scavati nel Settecento per indagare i vari settori della cavea e i podi dei tribunalia. Lungo la scaletta centrale, inglobati nel possente strato vulcanico, sono visibili i crolli dei muri, con molta probabilita', del sacello posto, in alto, sull'asse centrale del teatro. La parte alta della scaletta radiale centrale e' attraversata dal grande pozzo, realizzato nel 1750 per consentire il sollevamento verso la superficie dei materiali rinvenuti nello scavo e per dare luce ad una parte della gradinata della media cavea: in un angolo si trova un piu' antico pozzo per attingere l'acqua dalla falda, che ha tagliato la gradinata. La precinzione della media cavea, che era rivestita di lastre di marmo, asportate interamente in epoca borbonica (ne restano le impronte e lo strato di preparazione), sormontata da una cornice di marmo bianco ancora in parte conservata, sbocca, tramite sette piccole porticine ad arco, vomitoria, in una galleria, che presenta alle estremita' le due scale provenienti dall'emiciclo esterno dell'ordine inferiore. Il corridoio, largo m. 2,03 e alto, all'intradosso della chiave dell'arco, m. 2, 64, costeggia la sommita' della media cavea ed e' coperto da una volta a botte dal sesto poco regolare. Edificato in opera reticolata rivestita d'intonaco bianco, esso disciplinava l'afflusso degli spettatori dall'emiciclo sottostante e alle scalette che conducono in summa cavea. Il materiale vulcanico che copri' il teatro e' piuttosto consistente: pero', doveva avere una forte componente gassosa, dal momento che, quando si compatto', e successivamente si litifico', la volta dell'ambulacro rimase vuota, ed infatti l'intonaco in quel settore e' perfettamente conservato. Dal corridoio, inoltre, e' possibile entrare in alcuni vani radiali aperti verso l'esterno del teatro da archi che hanno la stessa ampiezza di quelli inferiori. Questi piccoli spazi a pianta trapezoidale, oggi in massima parte non fruibili perche' ancora celati dal materiale vulcanico, sono protetti verso l'esterno da un basso parapetto costituito dalla cornice di coronamento del portico dell'ordine inferiore. In uno dei vani da dove inizia una delle scalette che permette di accedere alla summa cavea si puo' osservare, sulla parete, una iscrizione romana, dipinta con colore rosso in grandi lettere, sottoposta ad una firma in sanguigna settecentesca. Due piccoli ambienti, in buona parte non accessibili, a pianta rettangolare, chiudono simmetricamente la galleria, unendo in tal modo la cavea alla parte sommitale delle versurae. La facciata esterna della parete meridionale dell'ambiente a nord conserva, come si e' detto, una fine decorazione di I stile in pannelli di stucco bianco su zoccolo rosso, mentre sulle pareti esterne dell'ambiente posto a sud, s'appoggia una scaletta, a doppia rampa su volta inclinata, che termina da un lato sul fianco del podio posto nel settore settentrionale della gradinata dell'ultimo ordine e dall'altro prosegue alle sue spalle per poi smontare nel punto piu' alto della cavea. Sulla volta a botte di questa rampa si osserva una iscrizione dipinta. La summa cavea, indagata in epoca borbonica attraverso tre cavita' non comunicanti, si compone di tre gradini. E' divisa in quattro settori da altrettante scalette radiali. La precinzione superiore, costituita da un muro in reticolato, intonacato di bianco, sovrastato da una fila di blocchi di tufo pipernoide, poggia sulla volta dell'ambulacro sottostante. Al centro e ai lati di essa vi erano tre edicole, che insistono sulle volte radiali dell'emiciclo esterno, inquadrate da tre coppie di podi, in mattoni rivestiti di marmo, per statue equestri di bronzo dorato, che furono recuperate in molti frammenti nel '700. Del sacello centrale si possono ancora vedere i resti di una semicolonna in stucco rosso, un tratto di muratura, gli strati di preparazione, in cocciopesto, della pavimentazione e il paramento di lastre marmoree, che misurano m. 1,05 x 1,90, che rivestono, frontalmente, la muratura in opera laterizia del podio. Si vede, inoltre, ancora incastrato in un cunicolo che percorre il podio del sacello, un frammento di cornice, finemente intagliata, in marmo bianco. Di recente si sono rinvenuti in posizione di crollo, sulla verticale del sacello centrale e nelle vicinanze del vomitorio centrale della media cavea, frammenti di panneggio di statua in bronzo e un grosso pezzo della cornice d'angolo in marmo riferibile certamente all'elevato del sacello centrale. Inoltre, tra i due avancorpi dell'edicola posta a nord della summa cavea, e' ben visibile una base di colonna in marmo bianco diam. superiore m. 0,36 Che il tempietto centrale non facesse parte del progetto originale del teatro, si puo' supporre dal fatto che l'avancorpo sud del podio, cavo nel suo interno, ha obliterato del tutto uno dei vomitori d'accesso alla summa cavea. Scendendo pochi gradini dell'ultima delle sette scalette a Nord-Est, si accede ad uno dei palchi d'onore (tribunalia), pavimentati con lastre di marmo bianco. Si nota la porta he collegava il tribunal ad un ambiente del primo piano delle versurae, sostenuto da travi di legno carbonizzate ancora al loro posto, che reggevano un pavimento di cocciopesto. Accanto all'ingresso di questo ambiente si nota, sull'intonaco rosso, la firma di un Pasquale Fer-, con l'indicazione Herculana domus mea. Davanti al tribunal Nord, sui tre gradini antistanti in basso, si trova una base di marmo con l'iscrizione, dedicata a Marco Nonio Balbo, pretore e governatore della provincia di Creta e Cirene, dagli Ercolanesi che contrassegnava una sedia curule onorifica. Sugli stessi gradini restano le tracce di un'altra base, asportata nel corso dei primi scavi, e gli attacchi di un bisellio di bronzo. Nel corso degli scavi borbonici furono infatti rinvenuti gli elementi di bronzo di due sedie curuli, ora conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Simmetricamente, sul tribunal opposto, anch'esso pavimentato con lastre di marmo, e' visibile la base con l'iscrizione dedicata, dopo la morte, ad Ap. Claudius Pulcher, amico di Cicerone, console nel 38 a. C. Si scende poi all'ima cavea, costituita da 4 gradini di marmo piu' bassi e larghi, un tempo separata dalla media cavea per mezzo di una transenna di lastre di marmo impostata su una cornice, interamente asportata, dove prendevano posto i maggiorenti. L'orchestra Si passa poi all'orchestra, pavimentata con grandi lastre di marmo bianco e giallo antico, delle quali si notano attualmente pochi resti. Ha una forma quasi semicircolare, tale da potersi inscrivere in un cerchio passante per gli estremi dell'abside che inquadra la porta centrale della scena, il cui diametro e' di m. 18,77. Il pulpitum Si raggiunge quindi la fronte del palcoscenico (pulpitum), in mattoni, un tempo rivestita di marmo, articolata con nicchie alternatamente rettangolari e curve, parzialmente restaurata da La Vega, che curo' di ben distinguere le parti integrate, in malta lisciata in sottosquadro, da quelle originali. Il muro, alto m.1,07 (quindi piu' basso dei cinque piedi, m.1,50, canonici vitruviani), presenta scalette poste ai due estremi per consentire agli attori di salire sul tavolato del palco su cui avveniva l'azione scenica. Si nota la grande cavita' dello scavo borbonico praticato davanti al fronte-scena, parzialmente occlusa dai due enormi pilastri realizzati da La Vega nel 1767-8, su indicazione dell'Alcubierre per motivi di sicurezza. Essi impediscono, purtroppo, di godere pienamente l'insieme architettonico. I grandi pilastri ostruiscono completamente la fossa scenica, hyposcaenium, larga circa m. 6, attualmente non visibile ma facilmente riconoscibile nelle piante e nelle sezioni dei rilievi settecenteschi e ottocenteschi, quando fu indagata. Nella pianta del La Vega e nella sezione del Mazois si vede molto bene questo canale ubicato nella parte retrostante al palcoscenico, con i fori destinati all'inserimento dei pali in legno che servivano per la manovra del sipario. In alto, davanti alla porta regia, si vede un piccolo pozzo, praticato per la ventilazione o preesistente allo scavo borbonico. La scena Si passa ad osservare il fronte-scena (scaenae frons), interamente costruito in opera laterizia di tegole fratte, alto due piani: presenta al centro la grande esedra dove si apre la porta regia e, lateralmente, le due porte hospitales. Se ne conserva buona parte della struttura muraria del primo ordine, per un'altezza massima di m. 5,23. La scena era interamente rivestita di marmi pregiati, dei quali restano solo pochi elementi e le impronte nella malta di alcuni di quelli asportati. Dai documenti sappiamo che furono rinvenute colonne di marmo rosso e di giallo antico, di cipollino, di africano e di alabastro fiorito. Due colonne di marmo africano furono utilizzate nell'altare della Cappella del Palazzo Reale di Portici; un sopralluogo effettuato sull'altare della chiesa dal Dr. Mario Pagano ha mostrato che esso si compone di 4 colonne di marmo africano, ricomposte con molti listelli di restauro riattaccati, del diametro di m. 0,35. Il Venuti riferisce che molti marmi e le due colonne di rosso antico-tuttora visibili sulla balaustra del presbiterio-furono reimpiegate nell'abside del Duomo di Napoli, rifatto in quel tempo a causa di un terremoto. Un'altra tradizione, pero', che risale ad una relazione manoscritta del 1741, fa provenire queste due colonne dalla diaconia di S. Gennaro all'Olmo a Napoli. Si possono vedere, collocati dal La Vega sulla scena, anche due capitelli corinzi con palmette classicheggianti alla base, rifiniti solo nel lato anteriore, oltre quello ora situato all'ingresso. Sappiamo che un altro capitello fu clandestinamente inviato in Polonia nel 1783. Dell'originaria decorazione architettonica della scena rimangono poi nel teatro alcuni pezzi della cornice marmorea a mensole e cassettoni del primo ordine, frammenti di lastre d'architrave a fasce appartenenti tutti al primo ordine, un frammento di colonna in africano e numerosi pezzi di cornici marmoree di piccola dimensione. Un plinto in calcare bianco compatto potrebbe appartenere alla decorazione architettonica del secondo ordine. Sul podio del fronte-scena, alto circa m. 2, poco sporgente, s'impostavano dieci colonne che inquadravano tre porte e quattro nicchie rettangolari ove in origine erano collocate le statue ritrovate nei primi scavi del principe d'Elboeuf. Altri due ingressi si trovano in corrispondenza dei risvolti racchiudenti la scena, detti parasceni, che mettono in comunicazione il palcoscenico con le aule, versurae, destinate al ritrovo del pubblico. Si osservano, inoltre, nel terreno vulcanico, le travi carbonizzate in crollo della copertura (che misurano in sezione m. 0,30 x 0,15). Le tre porte del fronte-scena immettono in una grande camera, forse adibita a spogliatoio per gli attori, che a sua volta comunica, attraverso tre aperture, con il portico retrostante. Nella parte retrostante della scena sono riconoscibili le due scale attraverso le quali si raggiungevano i tribunalia dopo aver percorso un passaggio costituito da un solaio di legno, di cui rimangono le travi carbonizzate, e aver disceso quattro gradini ancora in gran parte ben conservati. Ritornati indietro sul fronte scena, si penetra dapprima nella versura Ovest, dove si ammirano affreschi di IV stile ben conservati, su fondo bianco, disegnati, con quelli analoghi dell'opposta versura, nel 1772-3 da Vincenzo Campana in Antichita' di Ercolano (si conservano i rami, che non furono mai pubblicati. Ritornando sui propri passi, si procede visitando l'opposta versura. Anche qui si osservano gli affreschi di IV stile, sui quali sono sovrapposte centinaia di firme di visitatori. In alto si notano le travi carbonizzate del soffitto ancora al loro posto. In una delle arcate della versura si nota una singolare ricucitura in mattoni al posto dell'originaria struttura in conci di tufo: probabilmente si tratta della riparazione di un ingente danno dovuto al rovinoso terremoto del 62 d. C. La porticus post scaenam Dietro tutta la lunghezza della scena correva una porticus post scaenam, largo circa m. 7. . Presentava una fila di colonne di laterizio rivestite di stucco bianco, scanalate, alcune delle quali visibili in crollo, impostate su di un gradino di grandi blocchi di tufo, preceduto da una canaletta, sempre in blocchi di tufo. La pavimentazione e' in terra battuta. Il portico si apriva su di una stretta terrazza, che poggiava su alcuni ambienti in reticolato, visibili in due punti. Questi ambienti preesistevano alla costruzione del teatro. Infatti il cunicolo che fiancheggia a Nord il basamento della porticus post scaenam ha tagliato gli strati anteriori, e in particolare un riempimento, di circa m. 0,50, di terra costipata, intonaci e altro materiale edilizio che verso Nord ha sigillato una pavimentazione di cocciopesto, certo realizzato quando fu costruita la porticus post scaenam. Sul lato Ovest del teatro esisteva un piccolo risvolto di questa porticus, ma con colonne in mattoni, rivestite di stucco: ancora al suo posto si vede un pilastro con due semicolonne, di dimensioni piu' piccole, che sottolineava uno degli ingressi alle parodoi del teatro, evidentemente quello principale (non a caso a lato di questo punto si trovava la nicchia decorata con le tre statue di togati). Le colonne erano impostate anche qui su di una fila di blocchi squadrati di tufo, basamento che si prolunga verso Sud-Est. Rimane poco chiaro il collegamento di questo risvolto con la porticus principale, e queste incertezze sono riflesse nei rilievi sette-ottocenteschi. La facciata esterna del teatro La parte centrale dell'emiciclo si articola in alzato su due ordini architettonici ritmati da archi a tutto sesto che cingono l'intera facciata. Le arcate, dalla luce costante, poggiano su robusti piedritti in laterizio, dalla pianta sagomata a "T", che sono separati dall'imposta degli archi da una semplice cornice in stucco. Dell'emiciclo, costituito da diciassette arcate piu' due terminali che immettono alle aule, versurae, poste ai lati dell'edificio scenico, e' visibile la parte bassa dei pilastri del primo ordine; tranne in due punti saggiati su istanza dell'Accademia Ercolanese ove e' possibile ammirare il doppio ordine di archi inquadrati da lesene poco sporgenti, in origine rudentate e rivestite di stucco e con semplici capitelli modanati. Uno dei tagli verticali eseguiti da La Vega per tutta l'altezza esterna dell'edificio (m. 10,20) si trova in corrispondenza del sacello centrale della summa cavea, che fu sezionato. Subito dopo questo taglio si vede a destra una porta o finestra a liste di legno carbonizzato in posizione di crollo, e, accanto, un restauro di La Vega con conti degli operai e la data 1777 graffita sulla malta. Infine, dopo uno slargo utilizzato nel Settecento come luogo di sosta nella visita (come mostrano una lastra di marmo ancora inserita nella parete per sostenere una lucerna e molte firme di viaggiatori ottocenteschi sull'intonaco della parete). A diretto contatto, sempre in direzione est, del quattordicesimo pilastro del deambulatorio inferiore, vi sono i resti di un edificio, in opera reticolata, il cui orientamento diverge da quello dei piedritti in laterizio del teatro. Si tratta forse di un monumento pubblico particolarmente significativo per la citta', la cui costruzione precede quella del teatro, tanto da imporre la sua conservazione anche a costo di creare una cesura evidente nei percorsi posti lungo la cintura esterna dell'emiciclo. La penultima arcata orientale presenta una particolare e piu' ricca decorazione architettonica con lesene, capitelli corinzi e un bellissimo cassettonato a rilievo di stucco nell'intradosso dell'arco in stucco bianco. In basso l'arcata presenta un podio, in origine rivestito di marmo, dove furono scoperte dall'Alcubierre tre statue di togati. Una statua maschile e' certamente quella conservata in una delle nicchie del cortile superiore della Reggia di Portici. Sopra la linea dei capitelli e' visibile un fregio liscio sormontato da una cornice aggettante sulla quale appoggiano i pilastri del secondo ordine; la cornice, inoltre, ha la funzione di parapetto degli ambienti radiali dislocati tra i fornici. In posizione simmetrica rispetto all'ambulacro vi sono due scale in tufo, larghe m. 2,50,che portano alla galleria della media cavea; un tompagno in muratura intonacata blocca il passaggio tra la scala nord e il corridoio esterno, probabilmente un intervento di consolidamento statico da mettersi in relazione al terremoto del 62. Superate le scale, l'ambulacro si collega a due corridoi, parodoi, dal piano di calpestio inclinato, coperti da volte a botte su cui poggiano i due palchi, gia' descritti, tribunalia, riservati ai magistrati locali oppure ad ospiti d'onore, che assistevano alle rappresentazioni teatrali da questi posti privilegiati. L'accesso tra l'orchestra e le parodoi avviene tramite due passaggi, aditi, che tagliano le prime file dei gradini, rimanendo scoperti per un primo tratto, fino a quando, raggiunta un'altezza sufficiente, s'immettono sotto la cavea prima con una volta a botte con andamento orizzontale piu' bassa e poi con un'altra rampante che s'innesta all'arcata dell'emiciclo esterno. Lungo le pareti verso sud, si aprono due vani, che immettono ai due avancorpi che racchiudono la scena, le gia' accennate versurae. La presenza lungo i corridoi di cardini per porte, uno dei quali fu rinvenuto da La Vega fa presumere che durante i periodi di inattivita' il teatro potesse essere chiuso al pubblico.
[Less...]

1845: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 329, 11: Ercolano. Fabbriche abusive eseguite nel Teatro.
1846-47: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 310, II, 7: Spese per il Teatro di Ercolano.
1856: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 318, 26: Ercolano. Allestimento di una stanza per i custodi del Teatro.
1857: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 318, 27: Ercolano: Lavori urgenti al cancello di ferro del Teatro.
1857: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 318, 28: Ercolano: Fabbriche inducenti servitu' nel pozzo che da' luce al Teatro.



1845: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 329, 11: Ercolano. Fabbriche abusive eseguite nel Teatro.
1846-47: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 310, II, 7: Spese per il Teatro di Ercolano.
1856: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 318, 26: Ercolano. Allestimento di una stanza per i custodi del Teatro.
1857: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 318, 27: Ercolano: Lavori urgenti al cancello di ferro del Teatro.
1857: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Pubblica Istruzione, FS. 318, 28: Ercolano: Fabbriche inducenti servitu' nel pozzo che da' luce al Teatro.




mp ri